Venezuela in quasi default anarchico. I morti salgono a 26. Inflazione al 500%

Civili armati cominciano a puntare le armi contro i manifestanti. Gruppi parapolitici del chavismo militante seminano il terrore, una parapolizia responsabile di gran parte dei 26 morti degli …

Civili armati cominciano a puntare le armi contro i manifestanti. Gruppi parapolitici del chavismo militante seminano il terrore, una parapolizia responsabile di gran parte dei 26 morti degli ultimi giorni, vere e proprie esecuzioni (foto di Raúl Romero).

Sono già 26 le vittime di tre settimane di proteste contro il governo di Nicolás Maduro in tutto il Venezuela. L’ultimo assassinio è quello di un ragazzo di 23 anni, ucciso con un colpo di pistola in faccia, mentre partecipava a una manifestazione vicino a Barquisimeto, la capitale dello Stato Lara (nord ovest del Paese). Mentre altri tre morti e diversi feriti ci sono stati lunedì a Merida e a Barinas.

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Ora il rischio vero, sia per il governo che per l’opposizione, è una situazione di anarchia generalizzata nella quale diverrà sempre più difficile fermare la violenza che si estende per il Paese mentre i cosiddetti “colectivos”, le bande armate nate ai tempi di Chávez come paladini della difesa della rivoluzione bolivariana, attaccano le manifestazioni di protesta. A Mariana, nello Stato di Carabobo, è stata bruciata una statua di Chávez nella piazza principale.

La crisi, intanto, è sempre più profonda, l’inflazione continua a crescere e supera ormai il 500%, mentre non si vede quale potrebbe essere una via d’uscita pacifica.

Gli eredi di Hugo Chávez al governo rifiutano qualsiasi possibilità di convocare nuove elezioni come chiede l’opposizione per uscire da questa drammatica crisi. Diosdado Cabello, numero due del regime, uomo forte per i suoi legami con le Forze armate, e vicepresidente del Psuv, il Partito socialista unito fondato da Chávez, ha ripetuto che “non sono previste elezioni generali anticipate in nessuna circostanza”. Il mandato presidenziale di Maduro scade alla fine del 2018, e solo allora, forse, il Venezuela tornerà alle urne.

Ma nessuno ormai crede più che ci saranno ancora elezioni. Dopo che sono state annullate quelle per i governatori regionali e, soprattutto, dopo che è stato proibito il referendum che avrebbe potuto destituire legalmente Maduro. Chávez, dal 1998 al 2013 – l’anno in cui morì -, vinse tutte le elezioni che convocò ma oggi i suoi eredi sono talmente impopolari che hanno l’unico obiettivo di non convocarne più.

Una possibile mediazione è quella che vede in prima linea il Vaticano e papa Francesco, che in questi giorni ha avuto un lungo colloquio privato sul Venezuela con il ministro degli esteri argentino Susana Malcorra. Ma per riprendere il dialogo il Papa vuole che il governo di Caracas accetti le quattro condizioni fissate nel dicembre scorso dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin.

Le condizioni di Parolin, mai rispettate dal governo venezuelano, erano: autorizzazione all’invio di assistenza sanitaria internazionale, un calendario elettorale chiaramente stabilito, restituzione delle prerogative al Parlamento e liberazione di tutti i prigionieri politici. La lettera di Parolin venne accolta con sdegno dal governo di Caracas e Cabello aveva accusato il Vaticano di essere “un alleato delle oligarchie imperialiste”, mettendo così la parola fine alla prima mediazione.

Ora rilanciata da un documento sottoscritto da 12 Paesi latinoamericani. Ma nel frattempo il Venezuela sta minacciando proprio di ritirarsi dall’Organizzazione degli stati americani mentre si stava provando a organizzare un vertice sulla situazione della nazione.

Per domani è prevista a Caracas una nuova marcia dell’opposizione, l’undicesima dall’inizio delle proteste. Come nelle altre occasioni è previsto che il corteo si diriga verso il centro della città. Una zona proibita che il governo difende con le autoblindo e i lacrimogeni della Guardia Nazionale.

Fonte: La Repubblica

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