Oxfam, disuguaglianze rampanti: 8 uomini possiedono la ricchezza di 3,6 miliardi di persone

Otto persone  lo scorso anno possedevano 426 miliardi di dollari: la stessa ricchezza dei 3,6 miliardi di persone più povere del mondo. Il dato è choccante di per …

Otto persone  lo scorso anno possedevano 426 miliardi di dollari: la stessa ricchezza dei 3,6 miliardi di persone più povere del mondo. Il dato è choccante di per sé, la curiosità è che in questa speciale classifica solo due persone non sono statunitensi. Lo rivela il Rapporto Oxfam “Un’economia per il 99%”.

L’altro dato-choc del rapporto è che l’uno per cento della popolazione mondiale possiede più ricchezza del restante 99%.

Lo squilibrio in Italia: il 20% delle persone ha il 70% della ricchezza

Ecco chi sono gli otto uomini più ricchi al mondo per patrimonio personale (nelle foto in ordine qui sotto):

  1. Bill Gates: Usa, fondatore di Microsoft (patrimonio netto 75 miliardi di dollari)
  2. Amancio Ortega: Spagna, fondatore di Inditex, proprietaria della catena Zara (patrimonio netto 67 miliardi di dollari)
  3. Warren Buffett: Usa, CEO e maggor azionista di Berkshire Hathaway (patrimonio netto 60.8 miliardi di dollari)
  4. Carlos Slim Helu: Messico, proprietario di Grupo Carso (patrimonio netto 50 miliardi di dollari)
  5. Jeff Bezos: Usa, fondatore presidente e Ceo di Amazon (patrimonio netto 45.2 miliardi di dollari)
  6. Mark Zuckerberg: Usa, presidente Ceo e co-fondatore di Facebook (patrimonio netto 44,6 miliardi di dollari)
  7. Larry Ellison: Usa, co-fondatore e Ceo di Oracle (patrimonio netto 43,6 miliardi di dollari)
  8. Michael Bloomberg: Usa, fondatore propietario e Ceo di Bloomberg LP (patrimonio netto 40 miliardi di dollari)Image result for oxfam 8 rich

Un mondo di contrasti

La ricchezza accumulata da un’esigua minoranza di super ricchi sta crescendo a dismisura tanto che, a questo ritmo, nel giro di 25 anni potremmo trovarci di fronte al primo “trillionaire” ovvero ad un individuo che possiederà una ricchezza superiore ai 1.000 miliardi di dollari. Tutto questo a fronte di un contesto globale in cui ancora oggi 1 persona su 9 soffre la fame e 1 persona su 10 vive con meno di 2 dollari al giorno. Già, perché l’estrema disuguaglianza ci riguarda tutti: 7 cittadini su 10 nel mondo vivono in un Paese in cui la disuguaglianza è sensibilmente aumentata negli ultimi 30 anni. Se in questi anni, al contrario, fossero state intraprese politiche efficaci volte a ridurre il divario tra ricchi e poveri, oggi ci sarebbero 700 milioni di persone in meno intrappolate nella morsa della povertà.

Poca crescita e sviluppo diseguale, così il Wef boccia l’Italia

Quale alternativa? Un’economia umana

Il modello di Economia Umana proposto da Oxfam parte dal presupposto che il mercato da solo non è in grado di rispondere in maniera adeguata ed equa ai bisogni di tutti i cittadini e di rispettare l’ambiente. Pertanto è necessario l’intervento dei Governi per tutelare i diritti di tutti e per salvaguardare il bene comune.

Davos, la diseguaglianza e il fallimento della politica

L’Economia Umana può realizzarsi attraverso:

  1. Governi che si adoperano per arginare l’estrema concentrazione di ricchezza, così da porre fine alla povertà. Può essere realizzato aumentando le imposte sulla ricchezza e sui redditi più alti e assicurando sistemi fiscali più progressivi che permettano di recuperare risorse da investire in servizi pubblici come sanità e istruzione oltre che in politiche di sostegno al lavoro.
  2. Governi che cooperano, invece di competere in una corsa al ribasso sulle politiche fiscali e sui diritti dei lavoratori. Deve essere posta fine alla dannosa corsa al ribasso in materia fiscale perpetrata da molti Governi per attrarre investimenti di grandi multinazionali e devono essere adottate efficaci misure di contrasto agli abusi fiscali di grandi corporation e ricchi individui così da recuperare utili risorse per i bilanci pubblici. Inoltre, i Governi dovrebbero cooperare per assicurare che in un mercato del lavoro globalizzato la logica del massimo profitto non vada a detrimento dei diritti dei lavoratori e che venga, invece, loro corrisposto un salario dignitoso.
  3. Governi che sostengono modelli di business non orientati alla sola massimizzazione dei profitti, ma attenti al benessere dei propri lavoratori e al contributo che l’azienda porta al bene comune della società. Esistono già modelli imprenditoriali orientati in questa direzione che hanno dimostrato di funzionare. E’ perciò fondamentale che a queste imprese si dia il giusto sostegno per far in modo che il loro modello diventi mainstream e non sia confinato a mere sperimentazioni di economia sociale.
  4. Governi attenti a garantire pari opportunità di sviluppo a uomini e donne. Questo significa abbattere quelle barriere economiche che oggi non sempre permettono alle donne di realizzarsi al pari degli uomini. Assicurare ovunque nel mondo che le donne godano di pari accesso ai servizi educativi e sanitari. Non permettere che siano le norme sociali a predeterminare il ruolo della donna nella società e riconoscere, ridurre e ridistribuire il lavoro di cura non retribuito.
  5. Governi che incoraggiano l’innovazione tecnologica a condizione che vada a beneficio di tutti. E’ cruciale il ruolo dei Governi nell’assicurare che lo sviluppo tecnologico non persegua esclusivi interessi di mercato (dettati ad esempio dalla necessità di rispondere ai bisogni di consumatori più abbienti disposti a pagare un costo più alto per l’accesso alle tecnologie), ma sia sempre orientato al raggiungimento di un maggior benessere per tutta la società. Anche nelle trasformazioni del mondo del lavoro, è fondamentale che i decisori politici pongano particolare attenzione nel soppesare i benefici e i rischi nel lungo periodo dati da un crescente uso delle tecnologie in sostituzione del lavoro umano.
  6. Governi che promuovono una transizione verso l’uso di energie rinnovabili per il funzionamento della nostra economia. L’attuale modello economico, a partire dalla rivoluzione industriale, si è sviluppato facendo ampio ricorso all’uso di combustibili fossili. Questo modello è incompatibile con la sostenibilità ambientale ed il benessere della maggioranza della popolazione. Basti pensare alle vittime provocate a livello globale dal cambiamento climatico e dai fenomeni connessi e ai danni subiti dalle comunità più povere e vulnerabili. E’ quindi essenziale una transizione energetica verso fonti rinnovabili. Per mantenere il surriscaldamento globale entro i 2°C è necessario abbandonare del tutto l’uso dei combustibili fossili entro il 2045-55.
  7. Governi che promuovano lo sviluppo guardando ad una molteplicità di indicatori relativi al benessere dei cittadini e non soltanto alla crescita economica misurata attraverso il PIL. E’ necessario infatti poter cogliere l’effettiva distribuzione di redditi e ricchezza all’interno di un Paese e non misurare soltanto la dimensione dell’attività economica complessiva. È altresì fondamentale contabilizzare i costi ambientali così da poter meglio salvaguardare il pianeta per le generazioni future, e integrare quelle attività ad oggi non contemplate nel PIL come ad esempio il lavoro di cura non retribuito che pure è parte fondamentale del funzionamento delle nostre economie. (AGI)
Tag

Partecipa alla discussione