I minibot sono debito pubblico? Possono farci davvero uscire dall’Euro?

Le dichiarazioni di Ignazio Visco, governatore di Bankitalia e i pareri sull'ipotesi che possa essere un primo passo verso l'Italexit.

L’imbarazzante pasticcio della mozione approvata con voto unanime dalla Camera sui debiti della Pa mostra due cose. La prima è che c’è un largo numero di parlamentari che o non ha letto o non ha capito quello che stava votando, cose entrambe negative per l’autorevolezza delle istituzioni. La seconda è che ricorda all’opinione pubblica, se mai ce ne fosse ancora bisogno che, esplicitamente (Lega) e implicitamente (5 Stelle), il programma dei partiti al governo è di portare l’Italia fuori dall’Europa. La mozione, per larga parte innocua, invita il governo a potenziare e usare con maggior efficacia i vari strumenti disponibili per portare a livelli normali lo stock di debiti della Pa coi fornitori.

All’elenco, su iniziativa di Lega e 5 Stelle, è stata aggiunta “la cartolarizzazione dei crediti fiscali, anche attraverso strumenti quali titoli di Stato di piccolo taglio”. Sconcertante che tra i deputati che si dichiarano anti sovranisti nessuno abbia colto la contraddizione implicita nell’approvare questo testo. La mozione nulla dice esplicitamente, ma in sostanza si riferisce alla screditata idea della “moneta fiscale”, titoli di debito in cambio dei crediti dei fornitori, che a loro volta potrebbero usarli per pagare le imposte. Azzeramento dei debiti commerciali della Pa, minori entrate, maggior disavanzo, più debito pubblico.

E’ l’illusione che la spesa a debito si ripaghi interamente da sé, perché riattiverebbe consumi, investimenti e crescita in misura tale da ridurre il rapporto debito/Pil, ignorando l’aumento del grado di sfiducia dei mercati finanziari e un’ulteriore spinta allo spread e ai tassi per Stato e imprese. E fin qui nulla di nuovo nella panoplia economica farlocca di Lega e 5 Stelle. La Lega però va oltre. Nel suo programma arriva a proporre di “mettere in circolazione 70/100 miliardi di minibot, pareggiando l’attuale stock di moneta cartacea in euro”.

Una proposta assai pericolosa, non solo per le ragioni dette sopra, ma perché di fatto appare come una preparazione all’uscita dall’euro, prevedendo la creazione una “non moneta” di scorta, priva per ora di corso legale ma che in caso di necessità sarebbe già pronta (ma a quale tasso di cambio?) per sostituire l’euro negli scambi interni. Nei documenti della Lega naturalmente non c’è alcun accenno a questo, ma i dottor Stranamore della Lega lo lasciano intendere apertamente e così lo giudicherebbero i mercati finanziari.

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Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, ospite del Festival dell’Economia di Trento il 2 giugno, ha dichiarato a proposito dei “minibot”: “Sono sempre debito, non è di certo una soluzione al problema del nostro debito pubblico”. L’affermazione, come vedremo, è corretta. Ma che cosa sono i minibot e perché se ne parla?

Che cosa sono i “minibot”

Bot (Buoni Ordinari del Tesoro), sono titoli del debito pubblico italiano di breve termine, cioè con scadenza a 3, 6 o 12 mesi. Gli investitori che li acquistano prestano di fatto soldi allo Stato per un breve periodo di tempo, a fronte di un tasso di interesse (più basso ad esempio di quello concesso per i Btp con scadenze pluriennali). Possono essere sottoscritti per un valore nominale minimo di mille euro.

Claudio Borghi, deputato leghista presidente della commissione Bilancio della Camera, ha spesso parlato di “minibot”, cioè di Bot di piccolo taglio (5, 10, 20, 50 e 100 euro), di aspetto simile alle banconote, con cui lo Stato potrebbe pagare i propri creditori e con cui i cittadini potrebbero pagare lo Stato (tasse, controllate, benzina ai distributori Eni e via dicendo). A differenza dei Bot, non avrebbero scadenza o tassi di interesse.

La questione si complica quando si considerano i minibot in un quadro più ampio. Esponenti dell’attuale maggioranza, come è stato ampiamente notato in queste ore, hanno espresso in passato opinioni che sembrano suggerirlo.

Secondo quanto ha affermato lo stesso Borghi, in particolare, i minibot sarebbero “un espediente per uscire [dall’euro n.d.r.] in modo ordinato e tutelato”. Questo “espediente” sarebbe in grado, secondo i suoi sostenitori, di aggirare i limiti imposti dall’articolo 128 del Tfue, che vieta monete parallele all’interno dell’area euro. Secondo Banca d’Italia, come vedremo, non è così.

I minibot, lo precisiamo, erano previsti anche dal programma di centrodestra per le scorse elezioni politiche e dunque anche Forza Italia è stata tra i favorevoli alla misura.

In realtà il partito di Berlusconi ha mutato atteggiamento nel tempo: se nel 2017, per bocca dell’ex Cavaliere, si parlavaapertamente di una seconda valuta con cui recuperare in parte la “sovranità monetaria”, già nel 2018 – dopo le elezioni ma prima della nascita del governo Conte – l’ex ministro Brunetta avanzava delle critiche ai minibot in quanto pericolosi per l’affidabilità dell’Italia sui mercati e contrari alle norme comunitarie.

Perché se ne parla?

Il tema dei minibot è tornato di attualità dopo che il 28 maggio la Camera ha approvato all’unanimità una mozione (a prima firma Simone Baldelli di Forza Italia) con cui, tra i vari strumenti con cui si cerca di risolvere il problema delle imprese creditrici dello Stato che non vengono pagate nei termini, si impegna il governo a consentire il pagamento dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni con “titoli di Stato di piccolo taglio”.

Hanno votato a favore della mozione anche Pd e +Europa che, come spiegato poi da diversi esponenti, non si erano accorti che il testo della mozione fosse cambiato rispetto alla versione precedente e dunque non avevano notato l’inserimento dei minibot voluto – secondo quanto riferisce ad esempio il Post – da Lega e M5s durante le trattative per la mozione unitaria. Dopo essersi scusati per l’errore, i rappresentanti dell’opposizione hanno annunciato un ordine del giorno che escluda l’impiego dei minibot.

Il 31 maggio, poi, il Ministero dell’Economia e delle finanze (Mef) ha diffuso un comunicato in cui dice con chiarezza che “non c’è nessuna necessità né sono allo studio misure di finanziamento di alcun tipo, tanto meno emissioni di titoli di Stato di piccolo taglio, per far fronte a presunti ritardi dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni italiane”.

Insomma, l’inserimento dei minibot nella mozione non dovrebbe avere seguito alla luce della convinta contrarietà del Ministero dell’Economia.

I minibot creano debito?

Come affermato da Visco, e ripreso su Twitter da Banca d’Italia, è vero che i minibot siano debito. Sono infatti letteralmente titoli del debito pubblico, e dunque più ne vengono emessi più cresce il debito pubblico italiano.

Il fatto che siano legati ai debiti della Pubblica amministrazione verso i privati (imprese, professionisti etc.) non li rende comunque debito già emesso, ma nuovo debito.

Secondo Banca d’Italia non c’è il rischio che possano essere formalmente una valuta parallela, come vorrebbe ad esempio Borghi, a causa del divieto contenuto nell’articolo 128 del Tfue. L’Italia, per sottrarsi a questo vincolo, dovrebbe uscire non solo dall’euro ma anche dall’Unione europea.

I minibot potrebbero quindi essere al massimo un’altra forma di titoli del debito, ma in questo caso – come vedremo – diversi esperti ne mettono in dubbio il vantaggio rispetto ai titoli del debito già esistenti.

Il parere degli esperti sull’ipotesi possa essere uno strumento in vista dell’uscita dall’euro 

Il tema dei minibot ha suscitato un’accesa discussione tra esperti di economia, a livello teorico, anche al di là del testo della mozione o dei vincoli europei.

Alcuni critici hanno sottolineato come la misura possa essere uno dei primi strumenti in vista di una futura uscita dall’euro. Ad esempio sul Sole 24 Ore Guido Iodice, curatore di Keynes Blog – blog dove vengono accolte varie riflessioni economiche sulla crisi successiva al 2008, di impostazione economica keynesiana – ha immaginato uno scenario ipotetico in cui minibot, se ideati come valuta parallela, potrebbero portare ad uscire dalla moneta unica.

Carlo Stagnaro, direttore dell’Osservatorio sull’economia digitale dell’Istituto Bruno Leoni, ha criticato la misura sostenendo che i minibot “o sono debito (per tagliare le tasse e/o aumentare la spesa) o sono moneta. Se sono debito sono inutili: tanto vale emettere titoli di stato e pagare i fornitori della Pubblica amministrazione con gli euro raccolti in tal modo. Se sono moneta, we have a problem“.

Il problema, spiega Stagnaro poi intervistato da Radio in Blu (min. -10 e ss.), è la contrarietà ai trattati dell’Unione europea (in particolare l’art. 128 Tfue sopra citato), e soprattutto il timore che susciterebbero nei mercati che l’Italia si stia preparando ad abbandonare la moneta unica, anche in considerazione del fatto che alcuni tra i più attivi sostenitori dei minibot siano dichiaratamente favorevoli ad uscire dall’euro.

Massimo D’Antoni, che insegna Scienza delle Finanze all’Università di Siena, ha invece una posizione più sfumata, per cui se si riuscisse a evitare “l’isteria da “oddio, escono dall’euro!””, la misura potrebbe anche essere utile. Secondo D’Antoni in particolare “l’emissione di titoli, di piccolo o grande taglio, riallineerebbe deficit (già fatto) e variazione ufficiale del debito”.

Insomma, al di là dell’uscita o meno dall’euro, i minibot sarebbero in questo senso uno strumento efficace per dare una misura più realistica del debito pubblico italiano, facendo pesare al suo interno anche quei miliardi di debito che lo Stato ha nei confronti dei privati.

E il problema del pagamento dei debiti dello Stato nei confronti delle imprese porta su una posizione di apertura, non nei confronti dei minibot ma di forme di “valuta fiscale” – sprovvista, cioè, di corso legale ma con la funzione di riserva di valore, in modo non diverso dai titoli di Stato – anche Massimo Amato, professore di Scienze sociali e politiche dell’università Bocconi. Secondo il professore, sarebbe possibile ad esempio ipotizzare “il pagamento con voucher elettronici da convertirsi automaticamente a data certa in euro” dei debiti dello Stato verso le imprese.

In questo modo, spiega ancora Amato,  “la Pubblica amministrazione pagherebbe in euro al momento del pagamento, ma anticiperebbe fin da subito qualche cosa che a scadenza diventa euro, ma che nel frattempo può essere usato, e non a sconto, per pagarsi fra soggetti economici, e che è accettata da tutti proprio perché può essere usata da tutti per pagare le tasse”.

Conclusione

Ignazio Visco ha ragione: i minibot sono a tutti gli effetti nuovo debito pubblico. Non possono infatti essere una valuta parallela, almeno non finché l’Italia fa parte dell’Unione europea.

Tra gli esperti prevale un’opinione contraria a questi strumenti, che tuttavia non sempre si estende a qualsiasi tipo di strumento utile a pagare i debiti dello Stato verso le imprese. Secondo alcuni infatti uno strumento di questo genere, con caratteristiche specifiche e che non crei allarmismo su una possibile uscita dell’Italia dall’euro, potrebbe essere utile per alleviare le sofferenze delle imprese che vantano ingenti crediti nei confronti dello Stato. (AGI)

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